Parafrasando l’amletico dilemma di shakespeariana memoria (e volando ad altezze assai meno rarefatte), affrontiamo il dubbio che i redattori del bilancio 2020 dovranno risolvere.
L’art. 60, cc. 7-bis-7-quinquies D.L. 104/2020 (cd. Decreto Agosto) consente ai soggetti che non adottano i principi contabili internazionali, anche in deroga all’art. 2426, c. 1, n. 2) C.C., di non calcolare gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali e immateriali, con effetti conseguenti ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap. La norma prevede che la quota “sospesa” sia imputata al conto economico relativo all’esercizio successivo e con lo stesso criterio sono differite le quote successive, così prolungando di un anno il piano di ammortamento originario.
Quale misura di temperamento, i soggetti che si avvalgono della predetta facoltà devono destinare a una riserva indisponibile, utili di ammontare corrispondente alla quota non contabilizzata, con l’ulteriore precisazione che, in presenza di utili di esercizio incapienti rispetto alla quota differita, la riserva sia integrata utilizzando riserve di utili o altre riserve patrimoniali disponibili. In difetto, la riserva dovrà essere implementata, per la differenza, accantonando gli utili degli esercizi successivi. Del mancato computo dell’ammortamento dovrà essere fornita specifica menzione nella nota integrativa, illustrando le ragioni della deroga; dovranno, altresì, essere indicati l’iscrizione e l’importo della corrispondente riserva indisponibile, con espressa indicazione degli effetti sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell’esercizio.
La questione, tuttavia, presenta ulteriori implicazioni: “rinunciare” all’iscrizione dell’ammortamento in bilancio non preclude, infatti, la possibilità di dedurre, ai soli fini fiscali, la quota non transitata nel conto economico. Si tratta, in questo caso, di un’ulteriore deroga [art. 109, c 4, lett. b) Tuir], ossia della possibilità di scomputare dal reddito componenti negative anche se non imputate al conto economico nell’esercizio di competenza. Ne deriva, anche in ossequio ai principi contabili, un disallineamento tra valori fiscali e civilistici che determinerà l’emersione, per effetto di una variazione in diminuzione temporanea, di imposte differite passive per l’esercizio (bilancio) 2020, il cui utilizzo, in linea teorica, avverrà ai fini civilistici nell’ultimo esercizio, quando, esaurito l’effetto fiscale del piano di ammortamento, il calcolo della quota avverrà esclusivamente ai fini civilistici.
Dunque, riepilogando, sarà possibile: 1) ignorare la norma “sospensiva”; 2) non calcolare ammortamenti sia fiscali, sia civilistici; 3) dedurre l’ammortamento ai fini fiscali, pur omettendo l’imputazione al conto economico. La seconda opzione permette di non “peggiorare” il risultato civilistico, ma comporta un maggior carico fiscale (salvo che non emerga reddito imponibile) rispetto alla prima; la terza, infine, è esattamente sovrapponibile alla prima per quanto riguarda il calcolo delle eventuali imposte, ma ha il pregio di “salvare”, almeno in parte, il risultato di esercizio per effetto della sterilizzazione momentanea (mancata contabilizzazione) dell’ammortamento civilistico, fermo restando il computo delle imposte connesse, suddivise fra debiti correnti e fondo imposte differite. Ulteriore e non trascurabile aspetto è l’impatto sulla dichiarazione dei redditi, ossia l’inevitabile compilazione del quadro RV, nel quale si dovrà procedere alla riconciliazione delle divergenze fra valore civilistico e fiscale del bene.
Dunque, ammortizzare o non ammortizzare?
Ratio Quotidiano di Alessandro Pratesi